La riproposta del “Caso Moro” attraverso la serie RAI “Esterno notte”, richiama alla memoria la storia di Fausto e Iaio, i due giovani morti a Milano in un attentato di natura politica, a cui è intitolata la piazza antistante la scuola primaria di Telese Terme. Di Iaio, Lorenzo Iannucci, telesino, emigrato con la sua famiglia a Milano, mio amico, ho già scritto (leggi qui); Fausto Tinelli l’ho visto solo una volta: il 27 giugno 1976 alla Festa del proletariato giovanile di Parco Lambro.
C’incontrammo nel parco, il pomeriggio, con Lorenzo e Fausto per poi rivederci di sera, ma la festa prese una brutta piega: ci furono delle proteste che sfociarono in scontri con la polizia ed io dovetti andare via per paura di essere coinvolto.
Fausto e Iaio furono assassinati il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Moro, il 16 marzo 1978. Questa strana scansione di tempi ha legato i due fatti per una serie di strani eventi, forse troppo poco indagati, che avrebbero potuto fare maggior chiarezza sull’assassinio dei due giovani. Alle 8 di sera del 18 marzo del ’78, nei loro ultimi istanti di vita, i due ragazzi si fermarono davanti all’edicola del quartiere per leggere i titoli dei giornali. Due giorni prima, a Roma era stato rapito il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e la sua scorta era stata sterminata.
Fausto Tinelli abitava in via Montenevoso. Da una porta finestra che si affacciava sulla strada si potevano osservare le finestre di fronte e il portone del palazzo dirimpetto dove i terroristi delle Brigate Rosse avevano installato una parte di supporto ai compagni che altrove tenevano segregato Aldo Moro. In via Montenevoso i carabinieri del Generale Dalla Chiesa entrarono il primo ottobre del ’78 e vi trovarono una quantità di armi e documenti, fra questi la fotocopia di un dattiloscritto: il verbale dell’interrogatorio che Moro subì prima di essere assassinato.
Il noto il giornalista Mino Pecorelli, molto vicino al Generale Dalla Chiesa, sostenne fin da subito che mancavano parti importanti. Dodici anni dopo, infatti, si scoprì che erano sparite le pagine in cui lo statista democristiano si soffermava sulla strategia della tensione e rivelava l’esistenza in Italia di organizzazioni paramilitari anticomuniste istituite in ambito nato. Nel palazzo di Fausto accadevano cose strane, gente sconosciuta saliva spesso su nel solaio, di nascosto, tanto da insospettire anche la donna che puliva le scale. Tutto ha fatto pensare che i servizi segreti sapessero e tenessero d’occhio i brigatisti dall’altra parte della strada, un punto di osservazione e di ascolto per controllare chi andava e veniva in attesa del momento giusto per agire e catturare tutti i terroristi.
Possibile che i brigatisti, rigorosi cultori delle regole della clandestinità, non si siano accorti di nulla ed è quantomeno sorprendente che dopo l’assassinio del loro dirimpettaio Fausto e del suo amico Iaio, avvenuto per di più con quelle clamorose modalità, i terroristi non si siano allarmati e sono rimasti invece in via Montenevoso? Il comunicato numero 3 con cui i brigatisti comunicavano con lo “Stato” durante la prigionia di Moro, fatto ritrovare a Roma in una cabina telefonica, si concludeva con lo slogan “Onore ai compagni Fausto e Iaio”. Non era mai accaduto prima. Le Brigate Rosse rimasero lunghi mesi in via Montenevoso, anche dopo che uno di loro, Rosolini, aveva smarrito a Firenze il proprio borsello contenente armi e biglietti ferroviari emessi dalla stazione di Lambrate a 100 m dalla base.
L’assassinio di Fausto e Iaio, secondo alcuni, si può definire un lavoro sporco: l’omicidio di due ragazzi del Centro Sociale Leoncavallo opera di uno sperimentato sodalizio di killer composto da uomini collegati ai servizi segreti, terroristi di estrema destra e criminali forniti dalla mafia e dalla banda della Magliana alleati questa volta per ottenere dalle Brigate Rosse il silenzio sui segreti Nato. Restano dei misteri: perché i brigatisti non furono arrestati? Forse per continuare ad intercettarli con la speranza che attraverso loro si arrivasse alla prigione di Moro e dopo la morte dello statista all’intera struttura terroristica.
Fausto aveva visto qualcosa che aveva condiviso con Iaio la cui rivelazione avrebbe fatto saltare tutto il lavoro di pedinamento. Dopo la morte dei ragazzi, l’appartamento della famiglia Tinelli fu più volte visitato da sconosciuti che sottrassero carte ed altro di Fausto.